sabato 12 dicembre 2009

Appunti di viaggio: agricoltura, bio e non

 
 

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tramite Scienza in cucina di Dario Bressanini il 09/08/09

Se dico California a molti verranno in mente le spiagge di Los Angeles e San Diego, Hollywood e i suoi divi, le immense autostrade, le rinomate Università, le foreste di sequoie e i deserti della valle della morte. Non tutti sanno però che la California è anche una grande potenza agricola mondiale. E' il primo stato degli USA per produzione e esportazione agricola. Produce di tutto per un valore (nel 2007) di 36.6 miliardi di dollari.

Ha 75.000 fattorie e ranch, meno del 4% del totale USA, ma produce più del 12% del valore totale. Le sue produzioni principali sono latte e panna, per 7 miliardi di dollari (il 22% della produzione USA). Segue l'uva con 3 miliardi. Il vino californiano ha fatto molta strada negli ultimi anni e ora ci sono delle ottime produzioni. Da poco ha anche iniziato a produrre olio extravergine di oliva e sono pronto a scommettere che rosicchierà mercato ai produttori storici mediterranei. Produce da sola più del 99% di fichi, olive, cachi, carciofi, mandorle, prugne secche, noci (e altro ancora) degli USA.

Viaggiando per le interminabili strade californiane è molto bello vedere cambiare le coltivazioni: si passa da Castroville (capitale mondiale del carciofo) all'aglio di Gilroy (sempre capitale mondiale) a Salinas (anche lei capitale mondiale, della lattuga iceberg questa volta)

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(scusate la foto schifosella, fatta dall'auto in viaggio verso Salinas)

Si vedono le vigne e le aziende vinicole delle contee di Sonoma e Napa. Accanto alle autostrade si possono vedere delle coltivazioni di pesche, susine, o pere biologiche

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e magari poco più avanti del mais OGM Roundup Ready 2 (qui gli agricoltori sono liberi di scegliere cosa e come coltivare e le associazioni degli agricoltori sono ben determinate a difendere questo diritto, a differenza che da noi)

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Ho potuto assaggiare molti prodotti acquistandoli nei  supermercati (di cui parlerò prossimamente) o al Farmer's Market di San Francisco

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Molte bancarelle vendevano prodotti biologici (organic, come li chiamano loro); dopotutto il biologico è nato qui…

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e sì, la pizza earth friendly consegnata a domicilio con una auto ibrida sinceramente la trovo un po' ridicola :-)

Frutta e verdura hanno un aspetto bellissimo

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Tutti ottimi prodotti, ma un po' costoselli rispetto ai prodotti convenzionali acquistabili al supermercato (ottimi pure quelli):  le ciliegie a 6.90$ la libbra (una libbra sono circa 450 grammi), le pesche e le susine a 3.90$ la libbra.

Ho persino trovato dei funghi biologici :-D

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Insomma, non ho dovuto pasteggiare ad Hamburger e bistecche tutti i giorni :-D . A mezzogiorno quasi sempre frutta e un panino fai da te (si trova del pane accettabile in California, ma i salumi erano rigorosamente italiani :mrgreen: )

A presto  Dario Bressanini

P.S. forse qualcuno si aspettava un mio intervento nella polemica sul biologico di cui ho letto qualche cosa (siano sempre benedetti i WiFi a libero accesso in USA). Non sono riuscito a recuperare l'articolo in questione per cui ne parlerò solo quando lo avrò letto, ma devo dire che mi ero già fatto l'idea, leggendo in passato altri lavori, che il biologico, in generale, non fosse nutrizionalmente superiore ai prodotti convenzionali. La variabilità statistica tra coltura e coltura e tra produttori diversi è molto elevata e quindi in generale non si può affermare nulla di significativo. Ho letto interventi, sulla stampa e nei blog, molto "buffi" (mettiamola così ;-) ) , anche da parte di chi dovrebbe sapere che cosa è una Systematic Review (come quella della FSA) e come funziona. Ho letto di complotti, di attacchi, di malafede. Tutte stupidaggini. Vorrei ricordare che l'onere nella prova, nella scienza, ricade su chi fa una affermazione. Il biologico è nutrizionalmente superiore? Dimostralo. Fuori i dati. Where is the beef?. Se in più di un decennio di studi non si è riusciti a dimostrare che sistematicamente il biologico è nutrizionalmente superiore ai prodotti convenzionali possiamo concludere (almeno per ora) che tra i due non ci sono differenze nutrizionali significative (in generale).
Ciò non toglie che può capitare un pomodoro bio con più vitamina C di uno convenzionale, ma anche grano bio con meno glutine di quello convenzionale.

Se lancio due dadi identici non mi aspetto certo che escano sempre gli stessi punti. Ma se ogni volta che il mio dado supera il tuo lo sbandiero ai quattro venti vantando una presunta "superiorità numerologica" del mio dado rispetto al tuo sto solo facendo propaganda (per vendere il mio dado, superiore al tuo).

Chi fa propaganda parte da una ipotesi in cui crede e cerca tutte le ricerche a favore dell'ipotesi, cercando di dimostrare la sua validità, evitando le ricerche a sfavore. Questa non è scienza.

Qualcuno dice "ma si dovrebbe anche andare a vedere altro, come i residui di pesticidi". Certo, si andrà a vedere anche quello, sempre dati alla mano, e ovviamente senza distinguere tra pesticidi "di sintesi" e quelli "naturali". Ma non si può andare avanti per anni a vantare superiorità nutrizionali e stupirsi se poi qualcuno va a vedere se effettivamente è così, e scopre che questa superiorità non è dimostrata.

Sostieni che esistono gli unicorni blu? Sta a te dimostrarlo. E' verissimo che "l'assenza della prova non è la prova dell'assenza" (degli unicorni blu in questo caso). Ma è altrettanto vero che l'assenza della prova non può servire per aumentare la nostra fiducia nell'esistenza degli unicorni blu.

Vi gira la testa? :lol: Figuratevi a me con nove ore di Jet Lag da fuso orario sul groppone :mrgreen: Mi fermo qui per ora, ma vi posso consigliare di fare un giro sull'ottimo e autorevole Blog di Ben Goldacre, Bad Science, autore anche dell'omonimo e bellissimo libro (compratelo; c'è anche tradotto in italiano). Per ora leggetevi il suo intervento sulla questione (cita anche il rapporto dell'Unione Europea citato in contrapposizione alla rassegna sistematica della FSA) e i vari commenti.


 
 

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Norman Borlaug, l’uomo che ha nutrito il mondo

 
 

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tramite Scienza in cucina di Dario Bressanini il 15/09/09

Si è spento sabato 12 settembre, all'età di 95 anni, Norman Borlaug, l'uomo che ha "nutrito il mondo". Padre della Rivoluzione Verde e premio Nobel per la Pace nel 1970 (qui potete leggere la sua bella lezione Nobel).

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Con l'aiuto della Fondazione Rockefeller le sue ricerche hanno portato a sviluppare nuove varietà di grano, riso e altre colture ad alta produttività, in un momento storico in cui pareva che l'aumento della popolazione mondiale avesse superato la capacità dell'agricoltura mondiale di produrre cibo.

Nel 1960 il messico produceva grano, 1400 kg per ettaro. Nel 1963 utilizzando la varietà nana che Borlaug aveva sviluppato le rese passarono a 2700 kg per ettaro.

Ai critici (spesso bianchi e ben pasciuti) della rivoluzione verde Borlaug parlava così

Chiedo spesso ai critici della moderna tecnologia agricola: come sarebbe stato il  mondo senza gli avanzamenti tecnologici che sono accaduti? Coloro che professano delle preoccupazioni per l'ambiente, considerino l'impatto positivo risultante dall'applicazione delle tecnologie fondate sulla scienza. Se nel 1999 avessimo ancora avuto le rese mondiali di cereali del 1961 (1.531 kg per ettaro), avremmo avuto bisogno di quasi 850 milioni di ettari di terreno in più, e della stessa qualità, per produrre i 2.06 miliardi di tonnellate di cereali prodotti nel 1999.

È ovvio che quella terra non era disponibile, e certamente non nella popolosa Asia. Oltretutto, anche se fosse stata disponibile, pensate all'erosione del suolo e alla perdita di foreste, praterie e fauna selvatica che avremmo causato se avessimo cercato di produrre quella quantità di cereali con la vecchia tecnologia a basse rese.

E poi

Alcuni critici hanno detto che la rivoluzione verde ha creato più problemi di quelli che ha risolto. Questo non lo accetto, perché io credo sia molto meglio per l'umanità cercare di risolvere i nuovi problemi causati dall'abbondanza piuttosto che avere a che fare con il vecchio problema della fame.

Non è una esagerazione dire che Norman Borlaug salvò centinaia di milioni di persone dalla fame, e fu per questo che gli venne assegnato il premio Nobel per la pace.

Entro il 1970 ben 40 milioni di ettari di terra in tutto il mondo usavano le sue varietà nane di cereali, soprattutto in Asia e in America Latina, ma un suo grande cruccio fu che l'Africa rimase praticamente ai margini della rivoluzione verde.

Era ben consapevole che le sue ricerche avevano solo rallentato il problema ma non lo avevano eliminato del tutto

La rivoluzione verde ha raggiunto il successo temporaneamente nella guerra dell'uomo contro la fame e le privazioni; ha dato all'uomo un po' di respiro. Se pienamente implementata la rivoluzione può fornire cibo a sufficienza per sostenerci nei prossimi trenta anni. Ma la potenza terrificante della riproduzione umana deve essere piegata, altrimenti i successi della rivoluzione verde saranno effimeri.

Per questi motivi Borlaug era un convinto e appassionato sostenitore delle biotecnologie agrarie. In un suo articolo molto famoso, intitolato "Porre fine alla fame mondiale. La promessa delle biotecnologie e la minaccia degli zeloti anti-scienza" si scaglia contro quelli che lui chiama "estremisti ambientalisti" e i nostalgici dei bei tempi andati, di cui purtroppo abbiamo vari e influenti rappresentanti anche qui in Italia. Coloro che, opponendosi alle nuove biotecnologie agrarie, impediscono che i poveri del mondo ne possano beneficiare. Argomentava così Borlaug:

Il riso è l'unico cereale immune alla ruggine Puccinia sp. Immaginate i benefici se il gene che dona l'immunità alla ruggine nel riso potesse essere trasferito in grano, orzo, avena, mais, miglio e sorgo. Il mondo potrebbe finalmente liberarsi dal flagello della ruggine, che ha causato così tante carestie nella storia dell'Umanità.

In un discorso tenuto nel 2000 a Oslo di commemorazione del Nobel ricevuto trenta anni prima, Borlaug, ripercorrendo i successi della rivoluzione verde e guardando al futuro, ritorna sul tema

Io sostengo che il mondo ora ha la tecnologia – già disponibile o molto avanzata in fase di ricerca – per nutrire in modo sostenibile una popolazione di 10 miliardi di persone. La domanda più pertinente oggi è se agli agricoltori e agli allevatori sarà permesso utilizzare questa nuova tecnologia.

Mentre le nazioni ricche possono certamente adottare posizioni favorevoli a rischi ultra bassi, e pagare più per il cibo prodotto con il metodo cosiddetto "biologico", un miliardo di persone cronicamente sottonutrite dei paesi poveri non può farlo.

Ci sono voluti 10.000 anni per espandere la produzione di cibo ai livelli attuali di circa 5 miliardi di tonnellate per anno. Entro il 2025 dovremo di nuovo raddoppiare la produzione attuale. Questo non può essere fatto a meno che gli agricoltori nel mondo possano avere accesso ai metodi di produzione attuali ad alte rese, oltre che ai miglioramenti biotecnologici che possono aumentare le rese e la qualità nutrizionale delle nostre coltivazioni di base.

Vorrei chiudere con una sua esortazione:

"Abbiamo bisogno di introdurre un po' di buon senso nel dibattito sulla scienza e la tecnologia in agricoltura, e prima si fa meglio è"

e ricordarlo con un grafico, il SUO grafico, che mostra l'aumento della produzione mondiale di cereali, a fianco dell'andamento quasi costante delle superfici di terra utilizzate.

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Non riesco a pensare a nessun altro grafico che lo possa ricordare meglio. Ed è un grafico che in molti farebbero bene a ripassarsi prima di parlare di "nuovi modi di produrre il cibo" su larga scala.

Ciao Norman.

Dario Bressanini

Letture consigliate

The Green Revolution, Peace, and Humanity – Lezione Nobel 1970

The Green Revolution revisited, and the road ahead – conferenza Nobel 2000

Ending World Hunger. The promise of  Biotechnology and the threat of antiscience zealotry – Plant Physiol.  vol 124 pp 487 (2000)


 
 

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Cosa (non) mangiavano gli italiani una volta

 
 

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tramite Scienza in cucina di Dario Bressanini il 23/10/09

pensato-mangiato-250L'ultimo post, con un menù proposto dalla rivista La Cucina Italiana nell'ottobre del 1934 ha suscitato una vivace discussione su cosa veramente mangiassero gli italiani di una volta. E quali italiani in particolare: i contadini? La classe urbana piccolo borghese? I ricchi? Il generico "popolo" ? E poi, quando si parla di "cucina di tradizione popolare", che cosa si intende veramente? Quale era questo "popolo" che la mangiava? E quanto spesso?

Caso vuole che abbia iniziato a leggere un bel libro che, tra le altre cose, affronta anche questi argomenti. Si tratta di "Pensato e mangiato", di Daniele Tirelli."Il cibo nel vissuto e nell'immaginario degli italiani del XXI secolo". (Un grazie all'amico Antonio Pascale che me lo ha fatto conoscere)

Per analizzare il modo con cui l'italiano moderno guarda e pensa al cibo e alla cucina di oggi Tirelli parte con l'analizzare che cosa e quanto realmente mangiassero gli italiani nei secoli scorsi, per poi indagare sul perché gli italiani di oggi abbiano essenzialmente, complice l'industria e il marketing, una idea distorta e falsificata di cosa sia realmente la "tradizione culinaria italiana".

Il libro riporta dei grafici (fonte ISTAT) molto interessanti che riguardano i consumi di vari alimenti degli italiani al variare del tempo. Li ho colorati per migliorarne la leggibilità

Il primo grafico che vi presento è il consumo di frutta e ortaggi degli italiani. Notate come il consumo si sia impennato a partire dagli anni '60. Se il consumo di patate è rimasto quasi costante frutta fresca e pomodori, e più di recente gli agrumi, sono aumentati di molto.

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Mangiamo sicuramente molta più frutta e verdura noi oggi (e di migliore qualità) di quanto ne mangiassero i nostri bisnonni. I molti piatti della "tradizione" a base di ortaggi non dovevano essere poi molto frequenti, almeno per la gran parte degli italiani.

Il consumo di carne e pesce è invece aumentato in modo spettacolare a partire dalla fine della seconda guerra mondiale. Interessante notare che solo dieci anni dopo la fine della guerra si sono raggiunti i livelli di consumi di carne e pesce rimasti stabili per tutti gli anni '30 (anni di cui abbiamo parlato nel post precedente). Si deve però tenere conto che mentre prima della guerra il consumo di carne e pesce era di carattere più elitario, dopo la guerra aumentano i consumi globali, rendendo accessibili le proteine animali a quasi tutti. Anche qui la considerazione è analoga: quando parliamo di bolliti, stufati, lessi, arrosti, brasati e quant'altro come piatti "popolari" siamo sicuri che fossero conosciuti al "popolo" ? E in quali anni?

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Ecco come commenta Tirelli

L'aspetto più impressionante di questo indubitabile sviluppo resta tra tutti sicuramente la rivoluzione alimentare costituita dalla crescita del consumo di carni.

Il grafico mostra appunto come in un lasso di tempo brevissimo l'apporto di proteine animali sia pressoché decuplicato rispetto agli anni del Risorgimento e quintuplicato rispetto agli ultimi anni del regime fascista.

È in ogni caso difficile comprendere, al di là degli aspetti culturali, cosa possa aver significato realmente dare piena soddisfazione al desiderio perennemente represso di carne che ha afflitto per secoli la nostra popolazione. Matilde Serao ne il ventre di Napoli (ed. 2005) ci offre uno spunto utilissimo riportando la sintesi di un "questionario" riferibile più o meno al 1880, che recità così

  • Carne Arrosto? Il popolo napoletano non ne mangia mai
  • Carne in Umido? Qualche volta, la domenica, o nelle grandi feste, ma è di maiale o di agnello
  • Brodo di carne? Il popolo napoletano lo ignora.

Mangiare carne a sazietà, soprattutto arrosto, appare dunque come una delle maggiori conquiste sociali della popolazione italiana, che probabilmente ne è ancora psicologicamente condizionata.

Sul pesce: La seconda metà del XX secolo ha visto un ribaltamento vero e proprio dei precedenti concetti di qualità con la rapida caduta delle preferenze per il pesce d'acqua dolce, ritenuto il più pregiato, e l'innalzamento di quello di mare, dei crostacei e dei molluschi in particolare.

Il consumo di cereali invece  è addirittura diminuito dagli anni '30 del secolo passato, soprattutto a spese di cereali minori come il granoturco (il "frumentone" di una volta) e la segale. Il consumo di frumento è leggermente diminuito dagli anni '30. Quella che è cambiata è la composizione: meno pane e più pasta di vari tipi.

cereali

Anche il consumo di vino è fortemente diminuito, solo parzialmente sostituito con la birra.

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Ecco come commenta Tirelli

Altrettanto interessante è la tendenza storica seguita da "alimenti liquidi" come il vino e la birra. La seconda, praticamente assente dai consumi di massa sino all'ultimo dopoguerra (tranne le eccezioni di piccole aree di tradizione locale), non può evidentemente essere messa in contrapposizione con la prima. Strutturalmente si può dire, di fatto, che, pur rimanendo eguali le quantità pro-capite totali consumate nella seconda metà dell'800 e nella seconda metà del '900 (circa 85 litri), è cambiata drammaticamente la qualità del vino destinato al mercato di massa. Di pessima qualità, artefatto ed annacquato nell'800, il vino ha goduto dell'innalzamento qualitativo e della destagionalizzazione grazie allo sviluppo dell'industria enologica. Tutto questo in barba al mito neoromantico del "vino del contadino", che tanta parte ha avuto nella stereotipizzazione dell'odierna tradizionalità.

Il tema della "tradizione" (vera, presunta o inventata) è un tema delicato e lo riprenderemo (quando avrò finito di leggere questo  libro e alcuni saggi di Massimo Montanari :-) ). Mi permetto solo per ora di suggerire l'idea che spesso non siamo in gradi di collocare temporalmente le ricette che conosciamo. Abbiamo già parlato della Carbonara, e di come in realtà sia un piatto entrato a far parte della "tradizione italiana" solo negli anni '50. E quanti di voi sanno che il famoso Tiramisù, il dolce italiano forse più famoso al mondo, è di invenzione ancora più recente? Risale agli anni '70, creato a Treviso al ristorante Le Beccherie. Scommetto che molti di voi pensavano (come me) che fosse un dolce "tradizionale" :-)

Vi riporto un estratto dove Tirelli affronta il tema della "tradizione"

Non v'è dubbio che in campo alimentare si colga il continuo riemergere di un bisogno di "fede", di certezze che il proliferare delle tecniche fuori dal controllo dell'"uomo qualunque" sembra aver cancellato. Sono sentimenti che giustificano questo nuovo grande amore per la "tradizione", per un modello che "deve" esistere indipendentemente dai fatti accertati.

Storicamente, qualora si volesse ravvisare il riprodursi nel corso della storia di un modello di cucina italiana, occorrerebbe aderire al principio che la sua esistenza e la sua circolazione possono essere percepite soltanto facendo riferimento a quel che accadde nei circoli aristocratici e nelle diverse élite cittadine. Sappiamo cioè che usi e costumi alimentari non furono diffusi omogeneamente tra le grandi masse di popolazione, costrette invece a regimi poveri, monotoni e immutabili. Per rendere bene il concetto, non va dimenticato che se si parla delle origini della cucina bolognese, ad esempio, essa va riferita all'élite cardinalizia e borghese della città emilinana. Gli strati poveri e la maggioranza della popolazione per secoli ignorarono praticamente tutto delle specialità che hanno reso celebre la mia città, "grassa" e "dotta". Guido Bezzola (1991) ricorda i tremendi e quasi incredibili squilibri alimentari della Milano di Stendhal. La parola "pane", che per noi è sinonimo di "vitto", significava solo "pane" poiché gran parte della popolazione urbana si nutriva solo di quello mentre in campagna prevaleva la polenta e la castagna. Allorquando si parla di piatti regionali d'origine contadina, dovremmo chiederci in primo luogo quante persone li mangiavano e quante volte nella loro vita, dice Bezzola.

Dunque l'attuale stereotipo che attribuisce ad una tradizione popolare piatti che in realtà la maggioranza della popolazione conosceva appena, la dice lunga sulla mistificazione culturale a cui stiamo assistendo. Tutto questo è ancor più evidente se si considera che anche tra le classi borghesi, la frequenza del consumo delle tipiche specialità della cucina "grassa" era enormemente più bassa di quel che suppone l'osservatore moderno. I tortellini, tanto per fare un esempio classico e ovvio, erano consumati in pochissime occasioni.

A presto  Dario Bressanini


 
 

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Un pranzo di Natale per sei persone con due capponi e 12 lire

 
 

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tramite Scienza in cucina di Dario Bressanini il 11/12/09

Gli articoli recenti in cui abbiamo parlato di come si mangiava una volta hanno riscosso molto interesse e curiosità. Nei commenti avevo promesso di pubblicare qualche menù d'annata che riguardasse il Natale, ed ecco che onoro la promessa.

1934

Le riviste di cucina sono solite, nel mese di dicembre, pubblicare dei menù natalizi. Nel 1934 la rivista La Cucina Italiana indisse un concorso per le lettrici chiedendo di stilare un menù natalizio per sei persone avendo a disposizione due capponi e 12 lire. Un Natale un po' in economia quindi, e le cose sarebbero peggiorate l'anno successivo con l'imposizione delle sanzioni all'Italia e l'arrivo dell'autarchia (la rivista negli anni successivi pubblicherà di conseguenza delle ricette adatte ai tempi di ristrettezze, come i "biscotti sanzionisti").

I menù proposti sono interessanti anche perché riportano il costo degli ingredienti.

Ecco il primo dei tre menù vincitori del concorso (come premio: un panettone e un astuccio da lavoro), in cui il cappone viene sfruttato sia per fare il brodo che come ingrediente principale delle pietanze:

  • Antipasto: capponi in maionese, guarniti
  • Minestra: tagliatelle con fegatini
  • Intermezzo di carne: tournados di cappone
  • Intermezzo di verdure: sedano dello sciatore
  • Arrosto: cappone arrosto con cavolfiore o polenta fritta
  • Frutta: arance deliziose

Ed ecco la lista della spesa con i relativi costi

spese-natale1934-1

(Qui e qui potete leggere direttamente alcune ricette se siete interessati a scoprire che cosa sono il "sedano dello sciatore" e i tournados)

Il secondo menù vincitore è composto da

  • Minestra di craffi in brodo di cappone
  • Cappone tonnato
  • Sformato con ragù di regalie
  • Petto di cappone coi tartufi
  • Insalata fresca
  • Frutta

Ed ecco la relativa lista della spesa

spese-natale1934-2

1953

Saltiamo ora di quasi venti anni e arriviamo nel 1953. La guerra è passata, le disponibilità economiche dell'italiano medio sono migliorate, ed ecco che compaiono nel menù vini diversi, da abbinare alle varie portate.

natale1953-1-550

1963

Ancora un salto di dieci anni ed arriviamo al dicembre del 1963 (quando sono nato io ;-) ). La rivista propone vari menus (come usava dire allora) per il pranzo di Natale e anche un menù per la sera della vigilia:menuvigilia63-290

"Alla vigilia è abitudine –un'igienica abitudine– fare un pranzo frugale; e tanto più consigliabile lo diviene per chi poi andrà alla Santa Messa di mezzanotte. Come prima portata vi suggeriamo un piatto tradizionale della cucina mantovana: i "tortelli i zucca" che vengono sempre serviti alla vigilia di Natale. Se voi non li conoscete vi diremo che sono squisiti!

Potete preparare il ripieno anche con due o tre giorni di anticipo: provate prima la qualità della zucca, per sincerarvi che sia effettivamente dolce e di buona pasta, altrimenti compromettereste la buona riuscita del piatto. Il giorno della vigilia, al mattino o, preferibilmente, al pomeriggio farete la sfoglia e preparerete i tortelli lasciandoli ben distesi su di un tavolo ricoperto da una tovaglia bianca; ricoprite poi anche i tortelli con un tovagliuolo, affinché la pasta non abbia a seccare.

La seconda portata l'acquisterete già pronta dal salumiere: vi abbiamo consigliato infatti i pesciolini in marinata, che potete sostituire con il più tradizionale capitone. I sedani fritti (acquistandoli badate che siano ben freschi e croccanti e non troppo fibrosi) necessiteranno sì tre ore di tempo, ma non saranno tre ore di intero lavoro, tranquillizzatevi, e non sono di difficile preparazione.

I formaggi (ma forse nessuno avrà più voglia per questi), il classico torrone e la frutta termineranno il pranzo serale."

Qui sotto potete vedere i quattro menus di Natale proposti, con i relativi abbinamenti enologici.

menunatale163-290menunatale263-290

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Chi di voi cucina il cappone per Natale? ;-)

A presto

Dario Bressanini


 
 

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Pasticcio di tagliolini con carciofi e salsiccia

 
 

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tramite gustoblog di lorenza barletta il 12/12/09

carciofiSe vi è capitato di aver avanzato della pasta ed in particolare pasta lunga, tipo spaghetti o tagliolini, potrete preparare questo fantasioso piatto cotto al forno.

Ecco ciò che ci occorre: tagliolini o pasta lunga; salsiccia; pinoli; carciofi; aglio; timo; farina; latte;uova; burro; olio; sale e pepe. Le dosi degli ingredienti variano, naturalmente, in base alla quantità di pasta che vi è avanzata.

Pulite bene i carciofi e tagliateli a fettine; fateli dorare con l'aglio e il burro. Salate e pepate e unite del timo insieme ad un mestolo d'acqua calda, cuocendo per una quindicina di minuti. Frullate metà dei carciofi e col burro rimasto, il latte e la farina preparate una besciamella a cui aggiungerete la purea di carciofi e le uova. Poi sbriciolate la salsiccia e rosolate con un filo d'olio, assieme i pinoli. Distribuite la pasta in uo stampo e distribuite al centro il composto e la salsiccia. Chiudete con dell'altra pasta e infornate a 180° C. per 20 minuti.

Foto | Flickr


 
 

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Ricette di Natale: tozzetti alle mandorle.

 
 

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tramite gustoblog di Alessia il 12/12/09

tozzetti alle mandorleQuesti tozzetti, a differenza di quelli al pepe, vengono più fragranti poichè non si usa il miele e c'è l'utilizzo del lievito. Gli ingredienti che occorrono per realizzarli sono i seguenti: 300 gr di mandorle spellate e tostate, 300 gr di zucchero; 1 bicchiere di olio di semi; 3 uova; 1 limone grattugiato, cannella q.b.; 2 bicchierini di liquore ed 1 cucchiaino abbondante di lievito per dolci.

Preparate una fontana con la farina. Al centro mettete le uova, lo zucchero, la cannella, il lievito, il limone grattugiato, il liquore (anche due tipi diversi), l'olio di semi e le mandorle tostate intere. Lavorate con le mani cercando di incorporare la farina dai bordi un po' per volta. Lavorate bene e se è ancora morbida aggiungete altra farina. Fate dei filoncini non più larghi di 6 cm e non troppo lunghi perchè tendono a spezzarsi.

Cuocete sempre a 180′ C da entrambi i lati con la carta forno. Sfornate ed aspettate che si freddino. Una volta freddi, tagliateli per obliquo con un coltello a seghetta, qualcuno vi si romperà, forse perchè non si era ancora freddati del tutto. Rinfornateli dai nuovi lati per farli colorire.

tozzetti sulla teglia per la seconda cottura


 
 

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